Valentino Bonacquisti e la street art romana
Valentino Bonacquisti è un appassionato, è un artista, è un fotografo ed è l’autore di un libro interessante perché è stato uno dei primi nel genere, con il quale si fa testimone di artisti ed opere d’arte destinate a sparire. Valentino ci ha concesso un’intervista dove traspare la passione e l’amore per il proprio lavoro, lo ringraziamo per il tempo concesso e per il regalo che fa a tutti.
Qual è la motivazione principale per la creazione del tuo libro?
Il libro è nato quando arrivato a Roma, mi accorgevo della presenza di splendide opere di Street Art; oltre alla leggerezza e alla piacevole sensazione nell’osservare le opere sui muri, ho sentito quasi il dovere di salvaguardarle dalle aggressioni esterne ed evitare che si perdessero nel nulla, ciò perché le ritengo esempi validi e pieni di valore artistico. Allora ho fotografato tutte le opere che ho potuto scovare e ho messo da parte tantissimo materiale sperando che i molti amici che frequentavo si sarebbero interessati ad esso ed avrebbero appoggiato il mio progetto di salvaguardia e valorizzazione. Così è stato! ho trovato un finanziamento che mi ha permesso di creare un bel libro, con una carta di alta qualità, le foto e i testi sono i miei.
Dove e come ti sei documentato?
Mi sono documentato presso nei centri sociali, che non conoscevo. L’unico che avevo frequentato era il Forte Prenestino: pensa che ci andavamo insieme ai figli piccoli ed è stato anche un momento di aggregazione sociale. Nei centri sociali c’erano infiniti esempi di Street art ed ecco perché alla fine ci siamo ritrovati con un’opera ricca e preziosa. Tanti di questi posti non esistono più, sono stati sgomberati: il Volturno, il cinema America, l’aula studio di scienze politiche a “La Sapienza”, la palestra popolare Sciupa! il cinema America che è stato traslato nel piccolo America ed è ora un cinema itinerante. Il libro serve, oltre che per raccogliere le opere, anche come documento storico.
Come e quando li hanno chiusi?
Quando c’era Alemanno! io penso che lui lo abbia lasciato fare, per coltivare le proprie cose, per prendere in mano il potere, per sistemare gli amici suoi e fare tutti i danni che ha fatto. Il salto di qualità è stato fatto prima della giunta di Alemanno. In quel periodo sono stati concessi dei muri ai Writers per arginare il proliferare dei tal “selvaggi”, ma dal quel punto di vista non è stato risolto niente perché chi vuole fare il “tag” lo fa, ma è servito a chi stava abbandonando questo mondo perché rischiava troppo.
Ci sono anche graffiti di destra?
Non li ho mai visti o per lo meno non mi hanno mai colpito, io penso che l’arte non stia dalla parte di chi non la riconosce; chi nega l’arte e la cultura non può fare ne’ arte ne’ cultura. Non mi è mai capitato di fare arte collegata a movimenti di destra.
Esistono a Roma spazi espositivi per la Street Art?
Basquiat ha portato il movimento graffitista dalle strade ai musei. A Roma ci sono due gallerie molto(avanzate), Wunderkammern a Torpignattara e Lavazzi in centro. Sono gallerie di arte contemporanea che espongono anche Street artist. Torpignattara è un quartiere più’ fervente dal punto di vista artistico ed è un posto popolarissimo, la galleria è molto frequentata soprattutto dal mondo fricchettone, quindi il curatore ha fatto una giusta scelta. Il graffitista che si vuole far conoscere per strada con tecniche e supporti particolari, andando in galleria può dipingere una panca, un baule e molti dipingono, anche, una tela.
Quando è iniziata la sua esperienza fotografica?
Io fotografo da quando ero bambino, mi è stata regalata una reflex Olympus mezzo formato ad ottiche intercambiabili, ho imparato per strada a fare fotografie e a stampare le foto, fotografavo i vecchi del paese, poi ho lavorato per 35 anni e ho messo da parte questa passione, non avevo nemmeno la voglia di fotografare, facevo un lavoro che non era bello. La mia passione è esplosa nel momento in cui sono andato in pensione. Facevo fotografia di natura e poi mi sono avvicinato al mondo della Street art che ho sempre amato.
Qual è il messaggio che lei manda alle nuove generazioni che amano il graffitismo?
Il mio lavoro è quello di far prendere coscienza a chi interagisce con il mio libro che il graffitismo è uno degli scopi principali del lavoro che faccio. Cioè di coinvolgere chi guarda nell’ osservazione della distanza tra la qualità e l’approccio qualità e l’approccio per potersi interessare all’opera che ha davanti.
Lei ha contatti con le scuole?
Le scuole di Street Art si chiamano: “Crew”, sono gruppi che condividono la ricerca culturale e pittorica che realizzano. Nelle Crew ogni tanto viene accettato un giovane, che sostituisce una persona più anziana che abbandona il gruppo. Vorrei citare un graffitista famoso negli anni di Piombo, Paul, che ha dipinto Lallo il Pappagallo, molto divertente, è un faro.