Al Teatro India va in scena dal 21 al 25 febbraio “Storia di
un oblio”. Siamo di fronte, ancora una volta, a un’opera teatrale tratta da un
libro, nel nostro caso “Quel che io chiamo oblio” scritto da Laurent Mauvigner.
Il lettore-regista resta così colpito dall’originalissima modalità di
scrittura, dalla storia scarna, tragica … incredibile e decide di farne uno spettacolo
teatrale e specificatamente un monologo:
un monologo intenso, doloroso.
Il lettore-regista è Roberto Andò, pluripremiato artista dalla lunga carriera.
L’attore-mattatore è Vincenzo Pirrotta, famoso e navigato performer che nelle
vesti del fratello della vittima narra la vicenda.
Roberto Andò e Vincenzo Pirrotta, sono due siciliani doc o meglio DOP, dove la P sta per preziosi, due palati raffinati, due personaggi colti, dalle molteplici sfaccettature artistiche.
La storia della pièce è semplicissima e riassumibile in due righe. Un uomo entra in un supermercato e ruba una birra, fermato da quattro vigilanti muore dopo un’inaudita violenza.
L’attore pressoché nudo, vestito unicamente della sua voce, mostra la sofferenza profonda e il dolore di ogni uomo.
Solo, al centro della sala, tra un pubblico attentissimo e coinvolto, il nostro protagonista trasmette empaticamente la tragica sensazione di dolore per l’assurda vicenda capitata al fratello. Il regista, per evidenziare l’orrore della vicenda, ricorre ad una scenografia scarna, pressoché inesistente: un lettino di obitorio con una salma coperta da un telo, delle misere buste di plastica, unica eredità lasciata dal morto, oltre che il dolore di cui lui si impossessa indossandone i vestiti. E se ciò non bastasse, per rendere ancora più veritiera la tragicità e la violenza della vicenda, Pirrotta fa vedere al pubblico l’immagine martoriata del viso di Stefano Cucchi.
Invito tutti a recarsi a vedere la Storia di un oblio perché è emozionante e porta a riflettere sulla crudeltà e sull’impotenza umana.