Intervista all’architetto Andrea De Simone

La ringrazio per averci concesso l’intervista rubando tempo prezioso al suo lavoro.

Volevo premettere che una mia grande passione è quella della musica, progressive rock. Io ho suonato per una ventina d’anni, l’ultimo gruppo in cui ho suonato era quello di tributo agli Jethro Tull a livello nazionale abbiamo suonato anche con loro. E’ stata una bella esperienza, nei miei progetti che sono in cantiere a Mosca e ci sono componenti e anime musicali nel progetto.

Ci può descrivere in sommo capo il suo progetto Living Art Portofino?

E’ un progetto che si è sviluppato molto velocemente, dalla partecipazione a un concorso internazionale nel quale il nostro studio è stato chiamato a concorrere nel luglio del 2014. Nel settembre 2014 abbiamo vinto il concorso e ricevuto l’incarico per progettare un complesso di oltre 40000 mq fatto di residenze, di gallerie commerciali, di giardini e di viali urbani era quasi un microcosmo, infatti, l’idea di Portofino che è del cliente è quella di creare un modo di vivere sempre in vacanza in una condizioni di estasi. Per i Russi, Portofino è il mare, che è sinonimo di vacanza ed è anche cultura italiana. Noi abbiamo cercato di interpretare questa cosa, anziché fare un copia incolla di Portofino e portarlo a Mosca, che era anche un po’ difficile per la diversa condizione climatica abbiamo adattato al clima quello che pensavamo essere l’anima di Portofino: i colori, la differenza degli edifici, le altezze, le profondità, tutta una serie di dettagli e di atmosfere che hanno consentito di generare quello che poi abbiamo chiamato il grattacielo orizzontale… Cioè 30 edifici uno affiancato al’altro, tutti diversi e che sono stati oggetto di un design complessivo. Li abbiamo disegnati da cielo a terra in ogni minimo dettaglio, maniglie, porte, tutto quello che è il decoro delle parti esterne. L’estetica delle torri che sono le parti più importanti e, quelle più imponenti, è stata modellata con tecnologie che ora sono definite d’industria 4.0, le abbiamo realizzate in 3d e poi sono state stampate e rielaborate con un materiale in fibrocemento e questo ha consentito di disegnare fregi, cornici, capitelli e tutta una serie di elementi dell’architettura classica, reinterpretata e adattata al clima russo, un modo per rivedere e riadattare una certa cultura in un’altra molto diversa.

Perché Portofino?

Se uno dovesse fare una domanda a un’agenzia turistica russa o a un russo medio che vuole fare una vacanza in Italia, vi dirà che dell’Italia conosce Roma, Milano e probabilmente l’outlet di Serra Valle che noi hanno a due passi dallo studio e infine conosce Portofino. Per i Russi Portofino è un luogo come Saint Tropez, che ha costruito attorno a sé un’aura di interesse. Portofino vuol dire lifestyle all’italiana.

Come ha conosciuto Alexey Dobashin?

A dire la verità l’ho conosciuto il giorno della proclamazione del concorso.La struttura della Krost construction è composta di 6000 dipendenti, quindi, per arrivare a parlare con lui direttamente ci sono voluti degli intermediari. Prima è dovuta scendere una delegazione di dirigenti della sua società in studio da me nel Monferrato, mi hanno presentato la loro società e la loro struttura e mi hanno chiesto di partecipare al concorso, come potrai immaginare ne era ben lieto e interessato. Il giorno del concorso ho conosciuto Alexey Dobashin e da li’ è nata un’amicizia. Ormai sono tre anni che ci conosciamo, è sceso da me,in studio, almeno quattro volte, abbiamo avuto modo di passare insieme delle giornate di lavoro perché io ho una bottega nella mia abitazione. Alexey ha vissuto un po’ l’atmosfera familiare dei miei collaboratori e insieme ed è nata un bel rapporto lavorativo. Abbiamo sviluppato altri due idee e c’è l’intenzione nel 2018 di procedere con un nuovo progetto.

Come è nata l’idea che ha ispirato il suo progetto e l’ha guidata nella realizzazione dei lavori ?

Lo stimolo è nato sicuramente dall’indicazione del cliente, di far sì che gli abitanti di questo progetto avessero la possibilità di portare con sé l’immagine di una vacanza e di viverci dentro . Per poter concretizzare questo sogno e questa sfida molto interessante, anziché trasportare l’idea di Portofino nuda e cruda abbiamo immaginato di creare un piccolo luogo che fosse il compendio dell’Italia, dove ci fosse dentro, un palazzo rinascimentale e al suo interno una torre gotica. Questa struttura è un complesso eclettico piuttosto che liberty è basato sull’idea del contrappunto. C’è un tessuto di edifici più bassi che poi abbiamo destinato a una colorazione pittorica eseguita da dei maestri artigiani liguri che sono vissuti là ed hanno creato una specie di cantiere rinascimentale. Sette esperti italiani facevano lezione in cantiere a una trentina di decoratori russi. Il mio modus operandi è stato quello di far sì che il mio disegno divenisse realtà e quindi mediamente, due volte al mese, ero a Mosca per vedere come il progetto si sviluppava e ho coordinato tutte le attività dall’inizio alla fine, con i collaboratori del mio cliente. Questo ha fatto sì che in meno di due anni si sviluppasse il complesso.

Lei ha progetti per la ricostruzione del centro Italia?

Guardi purtroppo no e me ne dispiace. Io sono stato nella zona di Fabriano alla fine degli anni ’90, poi nel ’98 . Ho collaborato con la protezione civile di Alessandria della quale facevo parte ed era un’attività di analisi e di monitoraggio della situazione. Purtroppo, questi impegni all’estero mi hanno occupato molto e non ho avuto modo di partecipare. Io amo quella zona e sei mesi prima del terremoto devastante io ero a Norcia con la famiglia. E’ un dispiacere da questo punto di vista non essere parte della ricostruzione.

Se potesse dividere la sua vita in decadi quale aggettivo darebbe a ognuna?

Partiamo dalla prima, è sicuramente quella dell’esperienza diretta, qualcosa che non è filtrato da espressioni culturali o da altro che non sia la voglia di sperimentare. Io vivendo in collina o in zone di campagna ero tutto il giorno fuori nei boschi e facevo esperienza continua del toccare e vivere gli spazi.

Dai dieci ai venti anni quindi la seconda decade, è quella della conoscenza dell’amore, della passione per i rapporti con gli altri, con le donne, in particolare, com’è naturale che sia.

La terza decade che è quella dell’inizio della presa di coscienza della voglia di fare e della consapevolezza che l’architettura sarebbe stato il mio futuro, perché ne ero innamorato. E’ la fase dai venti ai trenta anni, un periodo di studio all’università dei primi lavori e della sperimentazione. Dai trenta ai quaranta anni, c’è stata la prima fase di consolidamento di quelli che erano i miei obiettivi e i miei sogni, fare una famiglia con la donna che amo, avere due figlie meravigliose che continuano a darmi soddisfazioni, costruire la mia casa che è stata un cantiere di quindici anni, nei quali ho sperimentato tutto quello che continuo a proporre ai miei clienti e infine la decade attuale che è quella in cui sto iniziando a tirare le somme di quello che ho fatto ma contemporaneamente sento di avere ancora la voglia di spaccare il mondo, quindi di allargare gli orizzonti, stiamo iniziando i rapporti con gli Emirati arabi.

Come il Petrarchesco Solo et pensoso per i piu’ deserti campi…

Oddio, è un momento che mi dà grandi stimoli e mi permette di cercare di trasferire qualcosa, ho uno studio giovane che mi consente di diffondere ciò che facciamo..

 

 

Quale lavoro sta pensando per il futuro?

Con gli arabi sarà una sfida molto interessante. La loro è una famiglia di origini indiane che vuole generare un nuovo brand nel settore immobiliare, real estate, cosa che non è semplice perché vuol dire creare un’immagine, una filosofia e un tipo di approccio, vuol dire coniugare i valori di questa famiglia con quelli che il mio studio di architettura condivide insieme a loro e quindi questo poi dovrebbe essere l’elemento di start-up, di avvio di una procedura che svilupperà progetti un po’ in giro per il mondo, perché loro non si fermano ad operare negli emirati ma hanno interessi in varie parti del globo, per ora siamo nella fase embrionale quella più stimolante, siamo in una fase di concept.

Qual è stata la soddisfazione più rilevante oltre ad aver portato a termine un’operazione ciclopica a dismisura?

Sicuramente quella di averla potuta condividere con il cliente e con le persone che hanno collaborato al progetto perché credimi, riuscire a sviluppare centinai e centinaia di disegni, riuscire a farli comprendere a chi dovrà realizzare, riunire, eseguire e poi crederci in quello che si sta facendo, non è facile. Abbiamo fatto dei corsi di formazione, io ho tenuto diverse masterclass nelle più grandi università di Mosca e diversi training negli uffici del nostro cliente, proprio sull’insegnamento della storia dell’arte, queste persone non avevano la più pallida idea di che cosa stessimo raccontando, quando gli parlavi di Gotico, di Eclettico, di Romanico o di Rinascimentale o di tardo Gotico. Loro ti guardavano con una faccia con un enorme punto interrogativo. Essere riusciti ad arrivare alla fine e sentire ora queste persone che declamano il nostro progetto è una grande soddisfazione.

Sembra che si preferisca costruire ex novo invece che riqualificare l’esistente. La mia famiglia ha un castello in Calabria, lei lo restaurerebbe? E se sì, come?

Allora, da italiano e da professionista sono molto più orientato alla ristrutturazione e alla conservazione tout court. Se dovessi mettere mano a un castello, vorrei mantenere le atmosfere che è stato in grado di conservare nel tempo, adeguandole con tutto quanto è il meglio della tecnologia, offrire il confort e il benessere e questo vuol dire, a livello energetico, a livello di gestione, di domotica o anche nei termini dello stile di vita. Un edificio che nasce come un castello con prerogative di sicurezza con una distribuzione degli spazi che è nata con delle esigenze particolari a oggi può essere adeguato alle esigenze attuali, sicuramente non si può pensare di conservarlo e basta, bisogna preservare quanto di meglio c’è ma adeguarlo alla vita attuale. Per me la tecnologia è preponderante, nel senso che deve essercene assolutamente tanta ma invisibile Non amo esaltare la tecnologia bensì l’architettura. La tecnologia per me deve essere sottostante ma molto presente. Con dei colleghi abbiamo iniziato a utilizzare delle tecnologie di retrofit energetico, non è né più né meno che una ristrutturazione energetica degli edifici, cercando quanto più possibile di mantenere le condizioni, se consideriamo che in Italia l’ottanta per cento degli edifici è formato da strutture che hanno in parte caratteri storici dobbiamo pensare che non è possibile abbattere tutto. Dobbiamo conservare e recuperare perché questa è la nostra identità, il nostro modo di vivere e di essere guardati dagli altri.

Quando e come ha scoperto di voler fare l’architetto?

Non dico che conosco il giorno preciso ma quasi. Avevo circa sedici anni, e avevo un grandissimo professore di storia dell’arte che adorava la sua materia e che era un architetto. Nel primo anno di studi, lui da architetto ci insegnava nella storia dell’arte moltissima architettura e mi ha fatto talmente amare quest’arte, questa disciplina che dal quel momento ho capito quale sarebbe stato il mio futuro e devo dire che è stata una bella soddisfazione incontrarlo un paio d’anni fa e raccontargli che cosa stavamo facendo nei miei progetti all’estero ed è stata una bella gratificazione anche per lui.