1)L’identita’ di un’artista si afferma in opposizione alla società?
Io cerco di fare quello che amo e quello che desidero, inseguo le mie voglie, il mio lavoro è continuamente messo in critica dalla società ed è critico verso un tipo di società retriva e reazionaria.2)Qual è stato l’evento che ha segnato piu’ profondamente la vostra emotività e vi ha condotto a scegliere percorsi mutanti estremi?
Quello che mi ha portato alle mie operazioni chirurgiche è stata la lettura dei testi di uno psicoanalista lacaniano Eugenie Leumoni-Leuccioni, io ho detto la stessa cosa in maniera piu’ radicale: non ci sono differenze nella mia opera fra il reale al virtuale, io posso passare indifferentemente dall’uno all altro.
3)Quale tipo di individuo pensa possa emergere dalla sua opera?
Non si puo’ sapere quello che accadra’ nel futuro, io penso che il corpo è obsoleto ma possiamo immaginare biotecnologie, mutazioni. Il sogno di metamorfosi è stato realizzato facendo nascere una nuova forma d’arte, post-umana, che ho chiamato “Art Charnel”, in cui l’essere vivente è anche l’oggetto artistico, e dove la carne è diventata materiale manipolabile e modificabile, non più e non solo per scopi salutari ma artistico-estetici.
4)Che cosa pensa del corpo mutante?
Io ho lavorato sul corpo mutante, sul corpo che inevitabilmente cambia, è oggetto di possibilità di trasformazione; questo porta all’ invasione del corpo nella tecnologia e della tecnologia nel corpo.
Il mio lavoro è in lotta contro l’innato, l’inesorabile, il programmato, la natura, il DNA (che è nostro diretto rivale in quanto regista della rappresentazione), e Dio.
Si può dire quindi che il mio lavoro è blasfemo.
È un tentativo per spostare le sbarre della gabbia, tentativo radicale e scomodo. Ho basato uno fra i miei interventi su un testo di Antonin Artaud che sognava un corpo senza organi; questo testo cita nomi di poeti della sua epoca, poi enumera quante volte questi poeti in vita loro hanno dovuto defecare, urinare, quanto tempo hanno passato a dormire, mangiare, lavarsi, e conclude dicendo che tutto ciò è totalmente sproporzionato rispetto alle poche pagine di magica produzione (così chiama la creazione).
5) Giudica le sue forme come, belle, diverse?
La bellezza può assumere forme che non sono giudicate belle…persino la nostra sessualità: quando si dice io desidero, questo desiderio è formattato secondo modelli che ci sono stati proposti. La bellezza non è che una realtà di situazione. Esempio: un tale paesaggio ci toccherà ma se c’è sole o nebbia o se sentiamo una vera emozione o un ricordo in quel paesaggio magnifico o se ci hanno condizionato nel trovare quel paesaggio magnifico. Altro esempio: Picabia ha voluto mostrare il mare ad una ragazza che voleva sedurre e che non aveva mai visto il mare. Lei afferma di trovare molto più emozionante un campo di patate. Effettivamente perché il mare dovrebbe essere per tutti bello e non un campo di patate? Secondo quale criterio? …Se mi descrivono fisicamente senza vedermi, è una donna con due protesi sulla fronte, mi troveranno brutta e mostruosa, ma se mi vedono, potrebbe essere diverso…Il mio problema non è mai stato quello di diventare più bella, ma che la differenza sia rilevata (notata), e al contrario, secondo i criteri dominanti, io sono meno bella di ieri.(Orlan).
6) Quali i vostri prossimi progetti?
Io verro’ a Roma per presentare la mia ultima conferenza sulle self Hybridation africane.
7) E anticipando per me le sue Self-Hybridations? Lei sa del mio interesse anche per il virtuale?
Davanti alle mie Self-Hybridatinos precolombiane o africane, siamo davanti ad un tempo virtuale dove si coniugano strettamente il passato delle culture precolombiane o africane, il passato recente della mia propria fotografia e l’avvenire di questa immagine, il suo futuro come opera vista dagli spettatori, e il futuro fantasmagorico che essa suggerisce.
Uno dei miei motti preferiti è “ricordati del futuro”, che evoca questo incrociarsi dei tempi nelle mie serie Self-hybridations dove i ricordi delle sculture del passato – appartenenti a delle civiltà talvolta scomparse –permettono di costruire delle immagini che anticipano il domani, prevedendo (interrogando) sin da adesso futuri possibili che non si lasciano invischiare in stereotipi precostituiti della moda del tempo –che non mi è congeniale. Oggi è già passato. Le Self materializzate dalla fotografia sono realizzate mettendo insieme opere provenenti da altre civiltà che rappresentano degli standard di bellezza di altre epoche, col mio viso, che presume di incarnare i criteri di bellezza attuale, elusa con due bozze sulle tempie, due vulcani in eruzione sull’ideologia dominante… La gente che ne parla ha tendenza a descrivermi come un mostro dal viso singolare, cioè dissonante; tuttavia, questa bozze non sembrano provocare lo stesso effetto, quando mi si vede da vicino…
8) Bene per le Self-Hybridations e può parlarci del virtuale?
Io fabbrico delle immagini di esseri mutanti la cui presenza è pensabile in una civiltà futura che non avrebbe le stesse pressioni sul corpo come avviene nella nostra civiltà; essa potrebbe dunque integrarle come bellezze possibili e sessualmente accettabili.
Queste immagini si iscrivono dunque nel virtuale come potenzialità di un reale futuro che ne fornisse anche realmente i mezzi tecnici. E’ la stessa cosa quando si interpretano le mie opere (s’incarnano). Si tratta per me di capovolgere il principio cristiano del verbo che si fa carne in carne fatta verbo, perché è in essa che si iscrive la mia parola d’artista. Bisogna cambiarla in lingua attraverso il passaggio all’atto che dai quattro punti di vista della religione, della psicanalisi, della ricchezza e della storia dell’arte non dovrebbe essere utilizzato.
Alcuni storici dell’arte rifiutano l’idea che degli artisti possano realizzare delle performance, lavorare in stretto legame con il reale; pensano che non sia arte ed in più non sia commerciabile.”
“Per me il concetto prevale, i mezzi seguono.
Alcuni giudicano il mio lavoro attuale, realizzato con immagini numeriche, tanto più notevole poiché tralascia la performance chirurgica; essi applaudono dunque ciò che chiamano il mio “ ritorno alla ragione”. Altri ancora pensano che il mio lavoro di performances chirurgiche era più forte (sono talvolta gli stessi che lo trovavano inguardabile) e che le mie nuove opere siano troppo ordinate, asettiche,cioè sdolcinate ( maliziose ), cosa che lascerebbe pensare che tutti gli artisti che non utilizzano unicamente il reale siano sdolcinati.
Così, se faccio di nuovo le mie operazioni chirurgiche performances, i primi mi denigreranno di nuovo, i secondi mi spingeranno senza dubbio a farne il più possibile per entrare nel Guinness dei primati o morire in scena.
E’ evidentemente un errore opporre questi due aspetti del mio lavoro. Questo ragionamento semplicistico prova che noi siamo ancora formattati dalla religione cristiana e il suo manicheismo distruttore che chiede di scegliere tra il “ bene” e il “ male”, l’ “oppure” che demonizza così l’una o l’altra delle proposizioni…
Da parte mia io preferisco la “ e” che evita le opposizioni riduttive: “ la pittura o le nuove tecnologie” “ il reale o il virtuale” ecc.
Nel mio lavoro la “e” è ricorrente: il “passato e il presente” “ il pubblico e il privato”, “il bello e il brutto”
“ il naturale e l’artificiale”, “ le trasmissioni satellitarie e i disegni fatti con le mie dita ed il mio sangue durante le operazioni chirurgiche-performances”, “le sculture- reliquarie con la mia carne e le opere concepite con programmi da disegno, con morphing e realizzate in collaborazione con l’altro capo del mondo grazie all’e-mail per creare le mie immagini numeriche, ecc…
L’andirivieni reale/virtuale mi serve a dire la stessa cosa, differentemente: è possibile dunque che io faccia di nuovo delle operazioni chirurgiche-performances per poco e che ciò avvenga nelle migliori condizioni e garanzie mediche, artistiche e finanziarie, oppure fermarmi qui.
Ho detto ciò che volevo dire. Non ho una predisposizione smodata per le performances nel senso quantitativo e/o sportivo del termine, mi interessa solo il concetto che le motiva.
Nel passaggio all’atto chirurgico ( che utilizza il corpo come un ready-made modificato che trasforma la vita in fenomeno estetico recuperabile), io dico le stesse cose che dico nelle mie opere in fotografia numerica o nelle mie sculture, ciò che tutti sanno più o meno, ma che non mettono in pratica nella vita di tutti i giorni: la bellezza può prendere delle apparenze che non sono reputate belle; il corpo è alienato dal lavoro, dalla religione, dallo sport e anche da ciò che fa parte della sfera privata del desiderio, della nostra sessualità, dunque è ugualmente formattato dai modelli che ci hanno imposto.
Ogni cultura sorveglia, punisce e fabbrica i corpi.
Da sempre mi interrogo , in modi diversi, sulle pressioni sociali esercitate sul corpo maschile e femminile. Il materiale di base che utilizzo, il corpo, ne è modificato, e passa attraverso un momento catartico, quello dell’azione in cui esso è spinto dal pensiero e crea la decisione.
Non è soltanto la mano ( come per i pittori,, scultori o grafisti) ma è tutto quanto il corpo che lavora se stesso. La sua rappresentazione attraverso il blocco operatorio diventa dunque il mio atelier d’artista da cui escono delle opere realizzate o delle immagini da lavorare in seguito. Queste opere sono concepite innanzi tutto da attitudini , partiti presi, da progetti di società e da una certa maniera di pensare. Che esse siano realizzate con l’aiuto di nuove tecnologie o di metodi più antichi, non è evidentemente senza conseguenze, ma non è la tecnica che conta per se stessa, essa non deve diventare una prigione e/o un conforto in cui si degrada e “ dà il consenso” il pensiero dell’artista.
Tutte le opere figurative possono essere chiamate virtuali. La rappresentazione della “Vergine con il Bambino” di Jean Fouquet, per esempio, è il ritratto di Agnès Sorel. Noi non ci vediamo pertanto l’amante di Carlo VII, ma un quadro.
Non è dunque necessario evocare “ Questa non è una pipa” o l’immagine numerica; solo la materialità dell’opera è reale: la pittura, la tela, il quadro e la mano dell’artista che l’ha dipinta. Direi che il reale ed il virtuale utilizzati allo stesso tempo diventano nuove trasversali che interrogano l’arte ed il nostro mondo in divenire. Uno stilista W<, per esempio, mi ha reso omaggio includendo dei bozzi simili ai miei nel trucco delle sue modelle durante numerose sfilate, al Boijmans Museum di Rotterdam, appunto .Il pubblico poteva anche pensare di procurarsi le stesse bozze. Quanto a me, mi ero fatta mettere un naso finto, come quello del re Pacal; la fotografia che ne risulta si chiama “ bozze reali, naso virtuale” Ora, questo finto naso, in silicone, integrato al viso con il trucco, è proprio materiale, reale; potenzialmente si può sistemare nella carne, proprio come i miei bozzi.
La foto sembra mostrare una persona che ha veramente dei bozzi ed un naso finto, ma si sarebbe potuto pensare che si trattasse di una foto manipolata a computer. Ho costruito immagini numeriche con quel naso maya che parte dalla fronte, come lo si vede disegnato sulla farmacopea, e che d’altra parte ho tentato di farmi impiantare con la chirurgia estetica all’inizio delle mie operazioni chirurgiche.
Certamente il numerico mi permette di ottenere risultati che non potrei mai sperare con la chirurgia, benchè essa mi permetta, attraverso la sua cruda realtà, di trasgredire i tabù e di spingere oltre i limiti del mostrabile, del dicibile.
Solo gli artisti che praticano l’arte, dicono e definiscono ciò che è l’arte.
E’ strano rendersi conto che tutti quelli che conservatori, storici d’arte, giornalisti, filosofi, artisti, … aspettano che i limiti dell’arte siano continuamente spinti oltre, scoppiano a ridere e s’indignano quando un artista si permette di farlo.
La storia si ripete. Ogni epoca ha avuto le sue: “ non è arte” con i suoi criteri e i suoi schiamazzi di cui dovevano arrossire gli artisti; essi dovettero patire in ogni caso.
Un giorno è decorativo, ma abbiamo avuto lo schema (pattern,struttura) ,Buren, Kusama…
Un giorno è teatrale, ma abbiamo avuto il barocco, Vanessa Beecroft…
Un giorno è grottesco, ma abbiamo avuto Paul McCarthy…
Ciò non dice niente, ma abbiamo avuto i monocromo…
E’ troppo letterale, ma abbiamo avuto Kosuth, Duane Hanson…
E’ troppo morbido,ma abbiamo avuto la sicumera di Serrano, Opalka, Coplans, Rudolf Schafer…
E’ troppo nel pathos, ma abbiamo avuto Artaud, Nebreda, Van Gogh e gli espressionisti…
E’ troppo nella contemplazione di se stesso,ma abbiamo avuto Warhol, Ben Sherman, Coplans…
Dopo
E’ kitsch, ma abbiamo Jeff Koons…
E’ di cattivo gusto, ma abbiamo l’aggeggio per scorregge di Gilles Barbier,e quello per la cacca di Wim Dlvoye…
E’ mal fatto, ma abbiamo Robert Filliou ed il suo principio di equivalenza: “ ben fatto mal fatto non fatto”…
E’ femminista, ma abbiamo Annette Messager, Claude Cahun, Carolee Schneeman, Annie Sprinkle, Valie Export…
E’ spettacolare, ma abbiamo gli artisti inglesi di “Sensation”
E’ troppo politico, ma abbiamo Guernica, Han Haacke, Thomas Hirsschhorn…
E’ troppo sociale, ma abbiamo Alfredo Jarre,Krzystof Wodiczko,Lucy Orta…
Ed adesso è troppo nel reale
Oppure è troppo virtuale…
Non si tratta di confrontarvi il reale e il virtuale e viceversa in una opposizione incessante, manichea e riduttrice.
Proprio al contrario, il virtuale si mescola al reale come la sua parte di immaginario, anche se il reale che io metto in piazza non ne è ugualmente sprovvisto: il piano di un film, di un video, una inquadratura fotografica, ecc.., colpiscono “spettacolarizzando” la vita mostrandola inquadrata, delimitata.
“ L’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte”.
Contrariamente a ciò che ho intrapreso con le mie operazioni chirurgiche, le serie Self-Hybrydations non iscrivono le trasformazioni nella mia carne-il mio corpo “fenomenologico”, ma nelle pieghe della mia carne virtuale, mescolata a materia non organica, ed alla mia stessa rappresentazione, essa stessa trasformata dalla chirurgia.
Tuttavia, sarebbe falso distinguere le mie operazioni –performances dalle mie Self-Hybrydations come qualcosa che avesse rivelato da un parte soltanto del reale, e dall’altro di un puro virtuale. Ho sempre cercato di sbrogliare le carte, di trasformare il reale in virtuale e viceversa; per esmpio l’operazione performance n°7 che feci a N.York. era trasmessa in una galleria della stessa città, ma anche al CENTRO Pompidou, a Parigi, a Toronto. L’immagine video vista dai telespettatori in diretta poteva nientedimeno passare per una fiction, un prodotto numerico, dal momento che il blocco operatorio era investito da un immaginario artistico. Si ritroverà questo intrico, probabilmente, in un film che interpreterò per David Cronenberg ed il cui scenario è ispirato al Manifesto dell’arte carnale: interpreterò me stessa come in un reality-show, ma trasformato dall’immaginazione e dalla creatività del regista. Ci si potrebbe chiedere se le operazioni dei precedenti film di Cronenberg non sono ugualmente veri o se, all’inverso, la mia è vera…
Nella performance, l’autore non è un attore ma un actant ( colui che compie l’atto), esso si mette in gioco fisicamente e psicologicamente davanti ad uno o più spettatori, senza simulacro né false apparenze drammatizzate; un vero dramma si compie qui ed adesso. Quando Klein utilizza delle donne come pennelli viventi per fare le sue Anthropométries, c’è un tempo vissuto con gli spettatori, poi il tempo d’esposizione delle opere. Non gli è mai stato rimproverato -eccetto il suo maschilismo- di aver utilizzato la performance per creare quelle opere che sono considerate come normali, completamente normali; avremmo potuto comunque dirgli che, le sue Anthropométries sono soltanto delle constatazioni, dei residui, delle scorie delle sue performances.
A questo proposito mi permetto di fare una digressione sulla esposizione Out of Action di Paul Schimmel a Los Angeles. Lei mostrava delle opere venute fuori da performances considerate come tracce poco interessanti rispetto alla visione della performance reale ( opinione perversa che egli manifesta più frequentemente delle stesse persone che non si interessano alla performance).
Questa esposizione mostra, poiché è necessario, che queste opere, come qualsiasi pittura di Rembrandt, Courbet o Rubens, per esempio, sono dei risultati, la traccia di una azione fisica che si è svolta realmente, durante un certo tempo; una traccia morta, che ci maschera il lavoro dell’artista in azione, da ravvivare. Questa esposizione mostrava che, le opere nate da performance, sarebbero da riconsiderare perché, come tutte le opere, provengono da un processo e da un susseguirsi di atti, pubblici e non. La volta della Sistina non è considerata come la sola traccia di una attività di qualche muscolo di Michelangelo o come una performance fisica più importante del suo risultato materiale; si vede unicamente l’opera.”
9) E ora un’ultima domanda durante la vostra infanzia come giocavate?
Ero ribelle fin da bambina, Miss Catastrophe venivo chiamata cosi’ in famiglia, reagii in modo estremo alle imposizioni materne ed alle regole di comportamento che erano necessarie ad una piccola donna“per bene”. Mia madre desiderava per me una vita normale e ripeteva: “Diventare qualcuno? Tu sogni figlia mia! Trovati un bravo ragazzo con un buon lavoro e sposati. Basta con queste stupidaggini”. Il mio “essere diversa”, non conforme alle aspettative sociali, il rifiuto del destino piatto che mi veniva offerto ed il desiderio di evitare l’asfissia, mi avvicinarono al mondo dell’arte: pittura, scultura, yoga, danza, teatro. Per “essere altro” ho fatto sempre ciò che gli altri non avevano il coraggio di fare. Ho rifiutato il nome imposto alla nascita, denunciato lo stato d’oppressione della donna nella società maschilista.
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