Di recente abbiamo assistito alla rappresentazione della Tosca, prodotta dall’Opera di Roma per la stagione estiva alle Terme di Caracalla. La Tosca di Puccini è uno dei suoi capolavori, sia nella drammaturgia serrata e concisa, sia nella struttura musicale, dove il flusso sonoro appreso dalla lezione wagneriana, si rapprende poi in stupende arie melodiche e drammatiche: Recondite armonie, Vissi d’arte, L’ora è fuggita; solo per citare le più famose, che richiamano l’applauso a scena aperta, anche se questo oggi spezza il fluire del dramma; ma tant’è, anche i cantanti meritano il loro riconoscimento.
Ottima la conduzione del Maestro Donato Renzetti, come le prove dei cantanti, in particolare Giorgio Berrugi nel ruolo di Cavaradossi e Roberto Frontali in quello di Scarpia.
Quello che non ci ha assolutamente convinto è stata l’ambientazione negli anni del fascismo. Mutare l’ambiente storico della vicenda può essere plausibile in un’opera, per esempio, come il Fidelio di Beethoven, sorta di favola sull’amore coniugale e sulla libertà, che non ha riferimenti storici ben definiti. Ma la Tosca vive in quei luoghi e in quel periodo storico: il periodo delle guerre napoleoniche in Italia, con i relativi fermenti insurrezionali e repressioni che si verificarono nei piccoli stati in cui l’Italia ancora era divisa. Tutto nel libretto di Illica e Giacosa (come nel dramma di Victorien Sardou) si tiene perché tempo e luoghi si costituiscono in un unicum: la Chiesa di S. Andrea della Valle è quella chiesa dove ancora un celebre pittore veniva chiamato a dipingere; Palazzo Farnese era il luogo della polizia e della tortura; Castel S. Angelo era il carcere destinato ai dissidenti politici. Quale senso può avere presentare personaggi in orbace dal cui canto escono parole come Napoleone o Battaglia di Marengo?
Sospettiamo che queste scelte così frequenti oggigiorno siano spesso dettate dagli scarsi budget degli Enti lirici e dall’esigenza di risparmiare le spese per costumi d’epoca, che sarebbero molto più costosi. Ma vogliamo dar credito a una scelta ponderata del regista, scenografo e costumista Pier Luigi Pizzi. Una scelta che però non condividiamo. Una scelta che ha il sapore del postmoderno, dove tutto si confonde, dove anche i riferimenti spazio-temporali perdono di consistenza, dove la Storia si annulla in un eterno presente, che tutto ammette e tutto lascia invariato. Poiché vogliamo ancora sperare che il pubblico possa accogliere giovani che non conoscono la Tosca, persone che non sono mai state all’opera, stranieri che poco sanno della nostra storia, questa scelta di ambientazione ci appare senza senso, fuorviante e tanto più sbagliata in quanto rafforza quella confusione nella quale da tempo viviamo, indotti a credere che le coordinate storiche, come i saperi degli esperti, possano tranquillamente essere azzerate e confuse in un’unica notte dove tutte le vacche restano nere.
Angelo Ariemma