INTERVISTA AD IRENE MAGNANI

Buongiorno Irene, la ringrazio di dedicarci il suo prezioso tempo e di raccontarsi; per questo le chiedo subito, senza indugiare … Ci vuole parlare delle sue origini, della sua infanzia, dei suoi giochi, dei suoi studi, ecc.?

Parlo sempre molto volentieri della mia infanzia e delle mie “origini”, perché sembro io stessa in un qualche modo stata pensata per il cinema… naturalmente è una battuta, ma il caso vuole che abbia un cognome importante di cui vado fiera, ed il mio nome lo devo all’attrice Greca, Irene Papas, che è stata una grande Penelope nei primi sceneggiati televisivi degli anni ‘70 a cui mia madre mi ha raccontato di essersi ispirata, mi piace pensare di aver sentito l’arte già in pancia, quella pancia ricca di emozione a cui si rivolge il mio lavoro.

Quando ha sentito l’impulso, la spinta, la voglia di interessarsi del sociale e di trattare temi sensibili?

Sono una persona molto sensibile e fin da piccola avevo cura di chiunque vedessi in difficoltà, amavo gli animali indifesi e fragili, ma soprattutto sento in me il dovere di poter fare qualcosa di concreto per chi è nella sofferenza o nel disagio e l’arte mi è di supporto in questo, me ne dà la possibilità. Dopo anni trascorsi a lavorare dietro le quinte nel settore teatrale-cinematografico, mi occupavo della gestione di una sala cinematografica, ho sentito l’impulso di raccontarmi attraverso il canale a me più congeniale, ovvero la scrittura per immagini che è il cinema!

Come mai si è avvicinata ai cortometraggi?

Avendo lavorato per una decina d’anni nel settore cinematografico ed avendo ammirato gli insegnamenti dei più grandi Maestri del Cinema, visionando nel buio della sala centinaia di film più e più volte, mi sono messa alla prova per comunicare quel che mi esplodeva dentro e subito con risultati incoraggianti, vincendo un Festival con un’opera prima. Questo mi ha dato la carica e l’entusiasmo per approfondire gli studi con un Master in Storytelling e più corsi di sceneggiatura per perfezionare la scrittura.

Ci racconta di qualche suo lavoro passato che l’ha particolarmente soddisfatta?

Nel 2018 ho preso in mano la telecamera ed insieme a mia sorella minore Elisabetta abbiamo scritto e diretto la mia opera prima “Testimoni Silenziosi”, un cortometraggio a tema tutela ambientale, dove gli alberi sono i testimoni silenziosi ed amorevoli del nostro tempo, loro vedono scorrere in centinaia d’anni sotto le loro fronde tutto il cerchio della vita umana, dall’infanzia alla vecchiaia, cosa direbbero di noi se lo potessero raccontare? Nel corto accendo una speranza, perché l’uomo anziano, oramai al capolinea della sua vita, comprende che le rughe della sua pelle non sono poi così diverse dalla corteccia rugosa dell’albero accanto a lui, capisce con ritrovata serenità che alla fine alberi e uomini appartengono tutti alle stesse radici, la NATURA! Quest’opera ha vinto nel 2019 il Festival Cinematografico “CortoFiction” sez. Spiritualità.

Scusa se interrompo la tua risposta, ma ti volevo dare una bellissima notizia, lo sai che da poco è uscito un libro scritto da Stefano Mancuso intitolato “La versione degli alberi”, che ricalca il soggetto del tuo cortometraggio?

“Un’altra mia opera alla quale sono molto legata è “E-Day”, dove la E sta per “EVOLUTION”, in chiave cinica purtroppo, perché il corto è un’opera distopica, dove nell’arco di 100 anni, dal 1960 al 2060, come in un nastro srotolo, in poco più di 12 min, la progressiva alienazione dell’uomo verso il proprio simile. Dal 1960, dove la tecnologia ancora non era entrata a gamba tesa nella nostra quotidianità e le persone ancora si “abbracciavano”, al 2040 dove gli uomini si incontrano e si relazionano solo “virtualmente”, attraverso un microchip installato sottopelle, tutto è finzione, tutto è proiezione ma non più realtà. Anche in questo corto accenno ad una speranza… l’opera termina con il 2060, dove metto 5 secondi di “nero” senza immagini, che rappresentano la fine del vecchio e l’inizio del nuovo, dal nulla si può solo ricominciare. Questo corto è stato selezionato al Festival di Cinematografia Sociale Tulipani di Seta Nera nel 2023 ed è stato visibile per un anno su RAIPLAY.

I suoi ultimi lavori, ad esempio i cortometraggi che sono in preparazione, di cosa trattano?

Ho in preparazione due progetti, uno è un cortometraggio sulla donazione degli organi, nello specifico la donazione delle cornee, tema sensibilissimo di cui non si parla mai e che invece coinvolge una grossa fetta di persone: gli ipovedenti. Molti pazienti attendono anni o addirittura tutta la vita un organo compatibile e, nonostante la cultura della donazione sia molto aumentata nel nostro Paese, tanto ancora bisogna fare per loro ed io nel mio piccolo cerco di dare il mio contributo. L’altro progetto sarà un documentario su Antonio Giuseppe Malafarina, recentemente scomparso, che ha lasciato un segno nella nostra società, una persona che, nonostante fosse inchiodata ad una sedia a rotelle, ha saputo fare della sua disabilità una bandiera di uguaglianza ed inclusione, per essere di aiuto e supporto a tutti coloro che erano nella sua stessa condizione, per migliorare ed adeguare la società a degli standard idonei per tutti.

Lei pensa che denunciare abbia il potere di cambiare le cose?

Sì, la società deve cambiare e può cambiare, se le donne per prime fanno sentire la propria voce. Penso che anche le donne hanno un ruolo ed una responsabilità in questo fenomeno culturale distorto, sono loro che educano le figlie a non darsi il valore che meritano e sempre loro come madri hanno il dovere di educare i figli maschi al rispetto della propria compagna, moglie, amica. L’uomo da solo non può cambiare se il volano non è mosso dalla parte femminile della società.

È molto coraggiosa e mi complimento con lei perché trattare questo genere di argomenti è necessario, ma non sempre trova spazio e soprattutto sovvenzionamento. Lei pensa che ci possa essere interesse sulle problematiche e sulle questioni sociali?

Il cinema con la sua potenza narrativa riesce a far breccia anche nelle corazze più resistenti ed entra nella pancia dello spettatore, lasciandogli un’emozione su cui riflettere, ma il vero problema oggi è che il cinema è sempre più esclusivo, in mano a poche grandi aziende, le quali lasciano purtroppo poco spazio a quelle più piccole o indipendenti.

La sua narrazione nasce da vicende personali o prende vita da un lavoro di inchiesta vero e proprio?

Nasce innanzitutto dalla mia sensibilità di donna e dal confronto con il mio caro amico Paolo De Bernardinis, il quale un giorno mi ha contattata per propormi un progetto di denuncia contro la violenza sulle donne, ma che avesse come titolo Il silenzio uccide, idea che ho fin da subito appoggiato.

Chi è stato, o quali sono state le persone che l’hanno incoraggiata, sostenuta e guidata nel suo percorso artistico?

Innanzitutto mia sorella Elisabetta con la quale ho iniziato questo percorso, lei mi ha sempre incoraggiata e supportata, realizzando la nostra opera prima, poi il mio Maestro Gualtiero Serafini, Docente di Cinema e Sceneggiatura, che ha saputo far fiorire il mio talento, con tanta passione per il cinema, ora collaboriamo insieme su vari progetti e questo per me è un grande privilegio. L’amore per il cinema mi ha fatto incontrare anche un altro importante e carissimo collaboratore, col quale scrivo oramai da anni intense storie sul sociale, Gianfranco Vivoli, che con il suo instancabile entusiasmo mi dona ogni giorno stimoli sempre nuovi per scrivere e continuare a sognare vette sempre più alte. Mio marito, il compositore Antonio Di Mezzo, che condivide con me vita e professione, riesce sempre a catturare le mie sensazioni più flebili per realizzare autentiche opere d’arte che esaltino le immagini dei corti. Ho incontrato nel mio cammino artistico anche persone piene di entusiasmo e generosità, che si prodigano per supportarmi sempre con tanta energia, come le attrici: Enkeleda Kosova e Milena Bianca Gori, che presto vedrete nel mio prossimo cortometraggio. Concludo con il mio amico e collaboratore storico, Massimo Leonardi, il quale è stato il primo a darmi fiducia, donandomi tempo ed energie fin dai primi progetti.

Avrà sicuramente conosciuto personaggi importanti e meno importanti, noti e meno noti, chi di loro l’ha emozionata positivamente e chi negativamente?

Ho conosciuto personaggi più o meno noti, ma quel che ho notato è che man mano che la fama aumenta diminuisce l’empatia verso il proprio simile, forse il successo può alienare da sé stessi e paradossalmente si diventa un “personaggio” e non più una “persona”, ma naturalmente è solo una mia opinione personale. Ho anche conosciuto persone di impareggiabile professionalità e competenza, che hanno saputo mantenere intatte la loro umanità, come uno dei più grandi Direttori della Fotografia che il nostro cinema conosca, che è Gino Sgreva, il quale ha lavorato con tutti i nomi più importanti del cinema Internazionale, ma che con l’umiltà e la sensibilità dei grandi ti accoglie ogni volta con un sorriso ampio e benevolo, quando sei in sua presenza sai che andrà tutto bene.

Con quale regista vorrebbe lavorare?

Muccino e Woody Allen, due Registi, molto diversi tra loro, ma che amo profondamente perché sono creatori di un proprio stile. Hanno avuto la determinazione e la capacità di non conformarsi e di non fermarsi alle prime critiche, cosa che accade spesso quando si è originali e fuori dagli schemi, ovvero talentuosi. Di Muccino amo l’energia, l’elettricità che riesce a trasmettere ai suoi attori e soprattutto come muove la macchina da presa sul set sempre dietro o tra i personaggi. L’occhio della macchina da presa è l’occhio del Regista, che diviene poi lo sguardo dello spettatore che è letteralmente catapultato dentro la scena e vive e soffre con i personaggi. Di Woody Allen amo l’intelligenza ed il graffiante cinismo dei suoi testi. Le sue sceneggiature sono piene di battute o aforismi che hanno fatto scuola, ma soprattutto mi sento vicina alla visione del mondo fintamente disincantato che lui ha della società. Possiamo forse dire che Woody Allen ha anticipato il cinema sociale, denunciando con ironia i mali della società?

Se potesse esprimere un desiderio, Irene Magnani, quale film famoso avrebbe voluto dirigere?

La donna che visse due volte” di Hitchcock, il Maestro assoluto del cinema di tutti i tempi, per innovazione narrativa e tecnica cinematografica.

Ora sta preparando due interessanti cortometraggi e domani cosa farà?

Ho in cantiere altri 3 progetti per lungometraggio, sempre su tematiche sociali quali lotta al tumore al seno, la vita dentro un centralino antiviolenza, e le potenzialità inespresse dell’autismo.

Grazie per il tempo che generosamente ci ha dedicato e le auguriamo tante soddisfazioni e successi!