Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi (1597- 1652) è la prima grande pittrice degna di occupare un posto d’onore nell’Olimpo della storia dell’arte, e la mostra allestita in questi giorni a Palazzo Braschi ne certifica in modo eloquente la misura e la grandezza nella sua integrità. L’evento, frutto di un apprezzabile impegno collegiale, mette a confronto le opere dell’artista con quelle dei suoi contemporanei. Quindi fra i nomi di spicco troviamo lo spagnolo Jusepe de Ribera, Guido Cagnacci e molti altri, compreso lo stesso Orazio, padre della pittrice. ll visitatore attento perciò, avvalendosi dei cento quadri esposti, può riscoprire e sperimentare i molteplici aspetti iconografici in una visione d’insieme intesa a soddisfare non soltanto le esigenze estetiche. Fra i capolavori di Artemisia dunque si impone all’attenzione del pubblico la celebre Susanna e i vecchioni (1622), dove l’insegnamento paterno e l’influsso caravaggesco sono, se non lontani, un vago, tenue segno. L’opera anzi, rispetto alle precedenti, presenta una maggiore autonomia stilistica. Il respiro dei lumi, il chiaroscuro finemente pesato, il segno elegante, la sintesi cromatica e formale sono tutti elementi che testimoniano di una raggiunta e consolidata libertà espressiva della pittrice. Susanna è una giovane dalla bellezza vellutata, sensuale; sta accarezzando con il piede l’acqua del bagno, quando all’improvviso la sua quiete viene turbata da due uomini che la spiano dietro un parapetto. La donna, mossa da un sentimento di sdegno, cerca di proteggere la sua casta nudità schermendosi con le mani nel vano tentativo di allontanare quei due guardoni. Tutto questo è reso in modo magistrale, con grazia, non solo dal punto di vista compositivo, ma soprattutto per le movenze dei personaggi le cui mani mimano una vivace dialettica, che solo il genio di una grande artista avrebbe potuto tradurre in pittura e in forme così convincenti.

Già da bambina Artemisia aveva dato prova del suo precocissimo talento, tant’è che il padre in una lettera del 1612 indirizzata alla granduchessa di Lorena magnificava e raccomandava le belle doti della figlia. Si può allora immaginare un’Artemisia sgambettare nella bottega paterna fra colori, pennelli, tele, vernici e perfino maneggiare attrezzi sotto lo sguardo vigile e benevolo di Orazio. Di questa sua precoce abilità troviamo esempi giovanili riconducibili attorno agli anni dieci del Seicento, quali Madonna con Bambino, La conversione della Maddalena e molti altri.Ma l’opera che ha maggiormente impressionato gli spettatori è Giuditta e Oloferne, eseguita nel 1620, cioè quando l’artista aveva ventitré anni. La forza espressiva in questa tela, pur richiamandosi alla Giuditta di Caravaggio, è dirompente, come l’impeto e la rabbia che ha ispirato il dipinto. Qui con tutta probabilità l’eroina è la stessa Artemisia che, accigliata e sdegnosa, decapita Oloferne.La scena è altamente drammatica e ad accentuare la tensione molto contribuisce il flusso di sangue che imbratta il candido lino su cui giace riverso il potente generale.Ma il percorso espositivo si arricchisce di altri capolavori che esaltano la personalità dell’artista, quali per esempio Autoritratto come suonatrice di liuto e molti altri non meno suggestivi. In queste opere insomma l’eleganza e la vitalità, la potenza della pittrice non vengono mai meno, né mai sono rintracciabili segni di cedimento a indebolire in qualche modo il talento e la vivacità creativa di “maestra Artemisia”.

Sigfrido Oliva